a cena da AlceSerata insieme, pochi amici a casa del nostro Alce, un po’ di buona musica e per chiudere in bellezza Mauretto tira fuori la sorpresa per me. Un PB 12″ prima serie (uguale uguale a quello che ho sotto le ditone ora) che non si accendeva più per via di un danno causato dal proprietario nel corso di un intervento apparentemente semplice (nel caso specifico, la sostituzione del disco). Si tratta di un problema molto comune: se non si sta attenti nel tirare via gli spinotti sì può causare il distacco di un connettore dalla scheda logica, fatto di per sé non irrimediabile ma che può avere delle complicazioni…

proprio come in questo caso. Infatti il connettore del pulsante di avvio, strappato via malamente, aveva portato con sé le piste del circuito stampato. Anche a questo c’è rimedio, basta andare a recuperare il contatto nella parte della pista di rame rimasta ancora attaccata alla logica, solo che qui la pista era stata asportata completamente fino al punto in cui passa dall’altra parte della scheda.

Poco male, basta continuare a smontare il tutto per avere accesso al “lato B” e agire col saldatore. Purtroppo deve averlo pensato anche l’amico di cui sopra ed ecco un’altra cosa da non fare: per smontare l’heat sink (il gruppo di raffreddamento del processore) ci sono da rimuovere due viti lunghe dotate di una molla d’acciaio.

Questa molla ovviamente non oppone una grandissima resistenza, tende a comprimersi, insomma fa il suo mestiere. Quindi non è il caso di premere tanto sul cacciavite, perché praticamente tutto lo sforzo viene trasmesso dalla vite alla boccola filettata sottostante, fissata dalla parte opposta della scheda. Se la pressione è tale da comprimere la molla, la parte filettata si scolla dalla scheda e prende a girare allegramente insieme alla vite; risultato: non si va più avanti o indietro, non si svita né si avvita, l’heat sink rimane schiacciato dalle molle contro il processore e tiene prigioniero il telaio interno e di conseguenza tutta la logica. Si potrebbe agire in modo brutale, cioè tranciare la testa delle viti e liberare il gruppo, ma dopo tutto quello che aveva passato il poverino sotto i ferri opto per una soluzione meno distruttiva, una vera sfida alle mie capacità di saldatore dilettante: devo agire negli spazi angusti di questo gioiello di miniaturizzazione, saldare due fili esilissimi al nulla che c’è nei fori metallizzati e… OK, a questo punto mi portano via di peso! Stella aveva ceduto quasi subito, Nicola era passato attraverso tutte le classiche fasi: estremo interesse prima, poi paziente attesa ingannata in compagnia di un sassofono, coma profondo verso le tre di mattina.

Mauretto verso le quattro aveva già trovato vari usi altenativi per i black stick originali Apple (a quanto pare ottimi per tenere su le palpebre, molto meno come surrogato delle sigarette), e prima che Alce ne trovi uno tutto per me, Elena mi sottrae a una fine ingloriosa riportandomi a casa. Per tenermi buono mi mettono in mano i resti del PowerBook e così, dopo qualche oretta, sono fresco fresco e pronto a terminare la riparazione.

Dunque, adesso però mi corre l’obbligo di spiegare brevemente com’è fatto un foro metallizzato.

Dicevo prima che le piste di rame passano gioiosamente da una parte all’altra dei circuiti stampati grazie a questi fori metallizzati, che sono appunto dei fori piccolissimi praticati nella vetronite e rivestiti internamente di rame,

in modo tale da creare una continuità elettrica tra il sopra e il sotto. La superficie utile di questo cilindretto di metallo è minuscola, saldarci qualcosa è un’impresa, fare sì che questo qualcosa non si stacchi sotto il suo stesso peso è un’altra impresa.

Uso quindi due fili ultrasottili per evitare che sforzino e, cosa che va contro la mia natura, una quantità veramente minima di stagno.

Fatto ciò, controllo col tester che il contatto sia effettivo, sgrasso bene bene le superfici, annego il tutto nella resina e poi aspetto che solidifichi;

solo allora procedo a saldare ai due filini d’appoggio il filo vero e proprio, quello con la guaina, ma anch’esso molto sottile.

Altra colatona di resina (tanto per non smentirmi) e ora che tutto è solidale con la scheda rifinire la spinetta in cima alla nuova prolunga è un gioco da ragazzi: visto che il connettore originale è andato perso uso anche in questo caso la resina per costruirne uno ad hoc.

Mauro completa il lavoro richiudendo tutto con cura amorevole e il risultato è che finalmente il pulsante di avvio riprende in pieno le sue funzionalità! Il PB 12″ è un Mac veramente eccezionale, piccolo e robusto, e anche se ormai il suo valore commerciale non rende giustizia a queste sue caratteristiche, sarebbe stato un peccato non recuperarlo.

2 Comments on “Lessonuàn: come NON si smonta un PowerBook”


By satiropan. June 15th, 2008 at 4:43

una domanda semplice, che tipo di resina usi, sai la marca?
ciao

By Salty Dog. June 16th, 2008 at 11:12

Ho usato una resina epossidica da 5 minuti della Robbe (nota casa aeromodellistica tedesca) invecchiata una quindicina d’anni. Ma direi che va bene qualsiasi resina epoxy 5 min. (Bison etc.), o anche altri tipi di “colla”, basta avere l’accortezza di verificare prima se per caso conduce. Per esempio, il cianoacrilato (Attak etc.) un po’ conduce e non mi pare indicato.

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